20 di cambiamento

Il Natale è passato e casa torna alla quiete che aveva prima della tempesta di pentole, piatti, calici, decorazioni, sedie che strisciano sul pavimento, bicchieri che tintinnano, lucine colorate. Sento nuovamente un po’ di pace o meglio sento una nuova calma intorno a me.

L’estate è trascorsa nel migliore dei modi, forse l’estate più coinvolgente della mia vita.

Ho avuto il tempo di vivere il tempo. Il tempo di assaporare ogni istante, ogni giorno è stato un regalo inaspettato. Questi piccoli istanti di felicità mi hanno fatta sentire viva, vera. Forse non vivevo così a pieno un’estate dai tempi della scuola, quando si staccava davvero dalla terza media alla prima superiore e in quell’estate magica non avevi altro a cui pensare che goderti gli amici, il mare, i ghiaccioli, senza pensare ai compiti, agli insegnanti che avresti rivisto a settembre. La spensieratezza.

Ecco, così è stata la mia estate, spensierata.

E le riguardo spesso queste foto estive, le ho appese anche in casa per vivere ancora quella sensazione come fosse una boccata di aria pura.

Anzi, le abbiamo appese in casa, sì perchè in questi mesi siamo diventati 9.
Due persone, due cani, cinque gatti. E nel frattempo abbiamo anche una barca; che fin da bambina, da quando quella che avevamo l’abbiamo venduta, è sempre stato uno dei miei desideri più grandi.
Vivere il mare dal mare. Lontana dagli schiamazzi dei bagnanti, sentire solo il rumore delle onde frangersi contro lo scafo. Naturalmente in legno, naturalmente un gozzo ligure, sebbene in acque sarde, dove di gozzi ne avremo visti un paio, e abbiamo ricevuto molti complimenti dagli incartapecoriti marinai per la scelta del mezzo così poco modaiolo, così poco veloce ma così vivo e vero. Il gozzo è la barca dei pescatori, così pesante, e con quella forma utile per attraversare il mare in qualsiasi condizione. E ne abbiamo subito testato la veridicità di queste affermazioni, partendo dall’isola della Maddalena al nostro primo giorno di navigazione con mare e vento così forti che tutti ci sconsigliavano di metterci in mare. Noi al nostro ormeggio ci siamo arrivati! Zuppi fradici, infreddoliti, un po’ spaventati ma, come sempre, felici!

Lasciare l’isola è sempre difficile, ma in Piemonte la vita ci aspettava.
Non che non ci si abbia pensato eh a vivere in un luogo di mare ma forse non è ancora il momento, forse abbiamo bisogno ancora un po’ di terra sotto i piedi prima di sentire la sabbia.
Ciò però, che mi ha stupita è che io abbia ragionato sul lasciare tutte le mie certezze sociali e famigliari per vivere solo con una persona, in un altro posto sconosciuto. Ho sempre cercato di dare valore alle mie radici, di mettere la mia famiglia prima di tante scelte. A volte me ne sono pentita? Forse. Ma ci sono quei rimpianti che non sono veri rimpianti, perché se davvero avessi sentito le scarpe fremere verso una direzione l’avrei presa. Semplicemente forse, non era la strada giusta da intraprendere, o forse non era il momento.
L’estate e poi l’autunno sono stati anche i momenti in cui certi legami si sono allentati, altri invece fortificati. Non metto mai in dubbio le amicizie, semplicemente perché esistono in quanto tali.
Sono perché esistono. Esistono perché sono.
Quando smettono di essere, non esistono più.

In questo quasi anno, ho ripreso a cucinare con passione e le prove per il pranzo di Natale iniziate a Novembre me lo confermano. Certo che ci sono e ci saranno sempre i giorni in cui apro un sugo Barilla. Dio benedica il Signor Barilla! Lo porti alla sua destra insieme al Signor Vileda! Ma ora ho voglia di prendermi cura della persona che ho vicino anche a tavola. Sto imparando a conoscerne i gusti, le espressioni, così come sto imparando a conoscerne gli aspetti del carattere.
L’aspetto migliore del suo carattere naturalmente è che mi ama! A volte mi domando come faccia, come abbia fatto ad accettare i lati peggiori del mio carattere senza farmeli pesare, senza farmi sentire sbagliata ogni qualvolta io comunque lo senta di stare dando il peggio di me. Forse, diversamente da ciò che ho sempre fatto, ho messo tutto sul piatto, la seconda sera che abbiamo dormito insieme, ovvero il secondo giorno in cui ci conoscevamo.
Sì perché di “normale” c’è stato ben poco fin dall’inizio. Quelli che dicono che le persone bisogna conoscerle poco per volta, un aperitivo, una cena, un uscita di pomeriggio, i suoi amici, i tuoi. Balle. Ecco, noi prima siamo andati a convivere, poi abbiamo fatto il resto. Prima ci siamo detti “sei tu”, poi abbiamo detto “ecco questo è il mio mondo”, nel frattempo tutti i lati oscuri del carattere, tutti gli errori, tutti i rimpianti, li abbiamo messi lì, in mezzo al letto in cui eravamo. Aspettando che l’altro dicesse “ok, ora devo andare”, ma l’altro non se ne è andato. E mano a mano che l’altro non si muoveva di un millimetro si mettevano altre cose nel mezzo, a vedere se ci avrebbero divisi. Non lo hanno fatto. Allora abbiamo capito che se tutto il marcio vissuto, subìto e fatto, se tutti gli errori commessi, se tutte le barriere che avevamo, non avevano mosso l’altro da quel letto, allora l’altro era la persona giusta. Ed io parlo per me ovviamente, ma nel dubbio di vivere un’altra storia su cui non avrei puntato nemmeno una crocchetta del gatto, prima di vivere una storia di quelle che perdi tempo per giorni, settimane, mesi, a volte anni prima di capire chi sia davvero l’altro, prima di illudermi che la persona che avevo davanti volesse davvero vivermi, ho tirato fuori tutto. E lui è restato, da allora cerca di darmi nuovi motivi per sorridere mentre cura quelle vecchie cicatrici. Io credo lo faccia a volte senza accorgersene, a volte consapevolmente. Onestamente non mi importa quando sia un caso e quando l’altro perché io cerco di fare uguale.
La persona che ho vicino non mi asseconda; cerca di capire, e poi decide se appoggiarmi o no. Nel caso non mi appoggi, è comunque presente, non si fa da parte, aspetta che io cada, (e a volte lo faccio) per passarmi un cerotto.
La differenza che sento rispetto a ciò che ho sempre vissuto è che oltre la complicità c’è la sicurezza. Io sento che c’è, sento che comunque vada la giornata, la questione in ballo o qualsiasi cosa io stia macchinando, lo trovo al mio fianco. Non si mette appoggiato al muro ad aspettare che succeda qualcosa, non corre avanti per poi aspettarmi, è esattamente dove vorrei fosse. Al mio fianco.
Certe volte mi domando se a questo punto sono io abbastanza!

Insomma di emozioni in questi mesi ne ho vissute molte e ad un certo punto abbiamo iniziato a viverle in due.
C’è stato un momento, in Luglio in cui abbiamo capito che certe emozioni le avremmo per sempre vissute in due, qualsiasi strada possano mai prendere le nostre vite, che, ovviamente, mi auguro non si separino mai.
E’ stato il 28 Luglio, alle 15:30, quando il Clear Blue ci ha detto che saremmo diventati una mamma ed un papà.
In quella domenica abbiamo riso, abbiamo pianto di gioia, abbiamo trovato parole che non sapevamo dove fossero state nel tempo, non sapevamo esistessero in noi, e poi le abbiamo perse. Abbiamo guardato gli occhi dell’altro consapevoli che quegli occhi sarebbero stati per sempre gli occhi in cui avremmo visto un pezzetto di noi e che un pezzetto di noi li avrebbe guardati per sempre come gli occhi più veri e colmi d’amore che la vita potrebbe offrire, quelli appunto di una mamma e di un papà. Ma questo lo scoprirà da grande, come lo abbiamo fatto noi.

E così come cambiavano i nostri punti di vista, anche il mio corpo ha iniziato a cambiare. A farsi più morbido, a fare spazio a quell’insieme di cellule che reclamavano già a gran voce spazio e tempo. E sono state mattinate in cui invece che abbracciare lui, abbracciavo il water, serate in cui il tempo sembrava un fiume in piena mentre iniziavamo a fantasticare sui nomi, sull’aspetto, sul futuro. Non abbiamo smesso di essere noi stessi, abbiamo solo capito che una parte di noi stessi, la più importante ci stava dando modo di crescere mentre noi si perdeva tempo a fantasticare su come sarebbe cresciuta lei. Lei cresceva, noi con lei.

Abbiamo girovagato ancora nell’estate, siamo tornati là dove tutto aveva avuto inizio, dove la vita aveva iniziato ad essere.
Abbiamo iniziato a capire qualche piccolo vantaggio e svantaggio nell’essere in tre. L’estate è stato l’inizio di un viaggio, quando di solito è il viaggio che si aspetta per tutto l’anno.

La nausea è passata in fretta, a ragion del vero grazie sopratutto alle sessioni di agopuntura a cui mi ha sottoposta il futuro papà. Io che odio gli aghi ho dovuto cedere perché il beneficio è stato davvero grande e lo consiglio a tutte le future mamme. Zero pastiglie, zero insopportabile zenzero fresco, zero di tutte quelle cose che “vedrai che funziona”, funzionano un par di ciufoli.
Sarà anche meravigliosa la gravidanza, la vita che cresce, due che diventano tre e blablabla. Ma i fianchi si allargano nei mesi, inizi a detestare sapori che amavi, sapori che detestavi iniziano ad essere irresistibili. Si piange per una notizia al Tg5, per una foto di un cane in adozione, perché iniziano a nascere paure che non si sapeva nemmeno potessero esistere.
E per chi, come me, ha una leggerissima mania di controllo ed organizzazione, tutto va in fumo. Ho iniziato a fare liste. Liste delle cose necessarie di vario tipo, dagli abiti ai mobili, dai prodotti di cosmesi ai libri da leggere, delle cose da fare, e poi ho iniziato a fare una lista delle cose a cui pensare perché le liste non mi bastavano più. Ed oggi le liste sono belle come il sole sul nostro Google Keep, ma restano lì; alcune spuntate, altre da aggiornare, altre completate, esistono, lo sappiamo ma viviamo alla giornata. A scandire il tempo è perlopiù la mia schiena, la mia stanchezza, la mia rotolosità crescente. Ed in questa condizione, che ricordo bene a tutte, non essere una malattia, ma una naturale condizione che da millenni accompagna le donne, beh tutto è più semplice se chi abbiamo vicino ci sopporta, ci supporta, ci rasserena, ci stimola e ci aiuta.
Sì, perché non è vero che il papà è inutile nel periodo della gravidanza. Non solo è utile ma è indispensabile!
Non nego che in questo momento ho difficoltà a fare le cose più semplici come mettere i calzini o asciugarmi i capelli. Anche in queste cose lui c’è e mi è indispensabile. Qualche sera fa l’ho ringraziato anche a parole per il compagno che si sta dimostrando di essere, perché non si sa quanto aiuto serva finchè non ci si trova nella condizione di averne necessità. Per questo per mio conto, non bastano i gesti di attenzione reciproca per fare capire all’altro quanto apprezziamo ciò che fa per noi, ma bisogna dirlo a parole, chiare, semplici e vere.

“Grazie perchè con pazienza mi asciughi i capelli. Grazie perchè mi metti i calzini che tanto odi. Grazie per ogni busta della spesa che porti, per ogni sabbietta del gatto che pulisci, per ogni asciugatrice che svuoti, per ogni volta che passi l’aspirapolvere. Grazie per ogni mensola che hai messo, per ogni mobile che hai montato, per ogni argomento su cui ti sei documentato, per ogni libro che stai leggendo, per ogni sugo Barilla che ingurgiti senza dire nulla. Grazie per ogni sorriso che hai quando entri dalla porta dopo una giornata di lavoro, mai e dico mai hai portato un malumore esterno in casa. Grazie per tutte le volte che mi dici che sono bellissima anche se ho i capelli sporchi e la tuta molliccia. Grazie per ogni volta che mi prepari uno spuntino e un po’ lo smezzi con me per non farmi sentire sola nel mangiare cose a caso in preda a qualche bizzarra voglia come quella di funghetti sott’olio alle 4 del pomeriggio. Grazie per ogni mattina in cui, finito il turno di notte ti infili nel lettone e poggi la mano sul pancione. Grazie per ogni pallina rosa che quest’anno hai appeso con precisione all’albero di Natale. Grazie per spiegarmi quotidianamente con calma e pazienza che ogni cosa che sento cambiare in me è normale, ma è tutta la vita che io mi occupo di risorse umane e che tu fai il medico, perciò grazie anche per le parole semplici con cui mi spieghi le cose che leggo dovrò affrontare in sala parto e che non capisco. Ci sono centinaia di cose per cui potrei e dovrei ringraziarti, ma una più di tutte è quella che sento importante. Ed è grazie per aver reso possibile essere una famiglia, dal primo istante davanti a quell’edicola. Siamo stati e siamo ancora in due, ma è stata famiglia dal primo momento. Eri tu quel qualcosa che non sapevo esistesse. Eri tu che non avevo ancora capito essere fondamentale per vivere davvero sulla mia pelle cosa volesse dire amare ed essere amata. Avevi un cappello orribile e sei arrivato in ritardo, ma quando la tua guancia si è intrufolata sotto il mio cappuccio, ecco è stata magia. Perciò più di tutto grazie per avermi resa consapevole.”

Inutile dire che il Natale appena trascorso è stato il più bello di sempre, in attesa del prossimo in cui ci sarà anche il mucchietto di cellule XX, che abbiamo quasi subito scoperto, essere una femminuccia. La pupattola per ora è riuscita a riunire le nostre famiglie intorno a un tavolo, a darci modo di conoscerle reciprocamente e sapere che, anche se stiamo formando una famiglia nostra e mettendo le nostre nuove radici qualche collina più in là, le radici che a volte ci hanno fatti sentire imbrigliati, sono ciò che ci ha dato forza, sono ciò che ci ha fatti crescere fino al punto di essere noi le radici di qualcun altro, e quelle radici le possiamo allungare ma saranno sempre pronte a sostenerci.

Questo 2020 inizia con un countdown che mi e ci trova a volte pronti, a volte in alto mare, a volte rilassati sul fatto che ci vogliano ancora tre mesi, a volte in cui pensiamo che oddio, tre mesi sono troppo pochi per essere davvero pronti!
Per ciò che strettamente mi riguarda, lei è già la protagonista, seguo i suoi ritmi, sceglie quando appoggiarsi alla mia vescica, quando sui nervi, quando svegliarmi in piena notte con calcetti e rotolamenti, quando alzarsi al mattino per fare colazione. Lentamente mi sta abituando a capire che non conta più molto cosa vorrei fare io, ora conta cosa riusciamo a fare insieme. E tutto sommato, ho vissuto da individualista per 37 anni, ho scelto cosa fare, quando farlo, con chi farlo. Ho scelto quando dormire, quando mangiare davanti a Netflix, quando fare serata con le amiche. Ho vissuto in questi anni tutto ciò che mi andava di vivere. So che in futuro non avrò rimpianti. Non sarò una di quelle mamme che guardano le foto delle amiche fare aperitivo e pensa “ah lo potessi fare io!”, primo perché è giusto lasciare un po’ di prosecco anche agli altri, in fondo noi, come diceva una amica siciliana “ci siamo bevuti anche l’acqua dei fiori”, secondo perché non intendo chiudere le porte al mondo, ai viaggi, alle amicizie, alla vita oltre l’essere mamma. Ci saranno sempre i momenti in cui non vorremo altro che essere noi tre con il mondo chiuso fuori dalla porta, ma ci saranno sempre anche momenti in cui oltre all’essere mamma e papà, saremo Elisa e Filippo. Che poi, le zie a cosa servono sennò? Una ha già comprato il primo paio di Nike alla futura nipote! E poi qualcuno la dovrà pure tenere la creatura! Noi abbiamo già i biglietti per il concerto di Max Pezzali il 10 Luglio…

I commenti sono chiusi.